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Confronti

21 10 11 @ 02:37  silvio.maselli

Il progetto D’Autore, finanziato con fondi strutturali dalla Regione Puglia, è costato circa tre milioni di euro nell’ultimo biennio rivolti a sostenere 25 schermi.
Facciamo un confronto con questa notizia. Ogni commento è superfluo.

“La Direzione generale per il Cinema dei Beni culturali, guidata da Nicola Borrelli, ha confermato il progetto Schermi di Qualità (quinta e sesta edizione) tra i Progetti Speciali, con l’assegnazione di un contributo di 3 milioni di euro. Schermi di Qualità è l’iniziativa realizzata dall’Agis, d’intesa con le associazioni dell’esercizio Anec, Fice, Acec, Anem, che premia con un contributo economico gli esercenti che raggiungono gli obiettivi richiesti di programmazione di film di qualità italiani ed europei. La domanda di liquidazione del contributo è stata presentata da 538 schermi che hanno completato la quinta edizione, iniziata l’1settembre 2010 e conclusasi il 31 agosto 2011. Alla sesta edizione dell’iniziativa, partita l’1 settembre 2011 e che si concluderà il 31 dicembre, si sono iscritti 707 schermi.”


Puglia Experience

21 10 11 @ 02:26  silvio.maselli

MI intenerisce e, insieme, inorgoglisce osservare i sedici sceneggiatori di Puglia Experience prepararsi alla sessione finale dei pitchings. Come studenti universitari prima di un difficile appello, passeggiano nervosamente ripetendo a bassa voce il proprio soggetto. Favorire incontri tra produttori e sceneggiatori è un lavoro immane e gratificante.
Ed io penso che ho scelto di fare un lavoro stupendo.


Diritto d’autore

13 10 11 @ 08:37  silvio.maselli

La legge sul diritto d’autore vigente oggi in Italia è la numero 633 del 1941.
Ma vi pare una cosa possibile dopo l’avvento di internet?!


Stay hungry, stay foolish.

06 10 11 @ 09:49  silvio.maselli

Ciao Steve,
sei stato un grande affamato e un grande folle.
Mi mancherai. Ma il tuo testamento è qui, sempre con me.
Tuo affamato e folle ammiratore.
s.

“Voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie. La prima storia è su una cosa che io chiamo ‘unire i puntini’ di una vita. Quand’ero ragazzo, ho abbandonato l’università, il Reed College, dopo il primo semestre. Ho continuato a seguire alcuni corsi informalmente per un altro anno e mezzo, poi me ne sono andato del tutto. Perché l’ho fatto? E’ iniziato tutto prima che nascessi. La mia mamma biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata e quando rimase incinta decise di darmi in adozione. Voleva assolutamente che io fossi adottato da una coppia di laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare sin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però, quando arrivai io, questa coppia - all’ultimo minuto - disse che voleva adottare una femmina. Così, quelli che poi sarebbero diventati i miei genitori adottivi, e che erano al secondo posto nella lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente!”. Più tardi la mia mamma biologica scoprì che questa coppia non era laureata: la donna non aveva mai finito il college e l’uomo non si era nemmeno diplomato al liceo. Allora la mia mamma biologica si rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college. Questo è stato l’inizio della mia vita.

Così, come stabilito, parecchi anni dopo, nel 1972, andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno troppo costoso, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi non riuscivo a trovarci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta una vita.

Così decisi di mollare e di avere fiducia, che tutto sarebbe andato bene lo stesso.

Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso in vita mia.

Nel momento in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a entrare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca-Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e potermi comprare da mangiare. Una volta la settimana, la domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio degli Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all’epoca offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri con e senza le ‘grazie’, capii la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, compresi che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era bello, ma anche artistico, storico, e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose, però, aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di capacità tipografiche evolute. Se non avessi lasciato i corsi ufficiali e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente, all’epoca in cui ero al college era impossibile per me ‘unire i puntini’ guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.

Insomma, non è possibile ‘unire i puntini’ guardando avanti; si può unirli solo dopo, guardandoci all’indietro. Così, bisogna aver sempre fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Bisogna credere in qualcosa: il nostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Perché credere che alla fine i puntini si uniranno ci darà la fiducia necessaria per seguire il nostro cuore anche quando questo ci porterà lontano dalle strade più sicure e scontate, e farà la differenza nella nostra vita. Questo approccio non mi ha mai lasciato a piedi e, invece, ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita.

Io sono stato fortunato: ho scoperto molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Steve Wozniak e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in dieci anni Apple è diventata - da quell’aziendina con due ragazzi in un garage che era all’inizio - una compagnia da 2 miliardi di dollari con oltre 4 mila dipendenti.

Nel 1985 - io avevo appena compiuto 30 anni e da pochi mesi avevamo realizzato la nostra migliore creazione, il Macintosh - sono stato licenziato.

Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta, avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose erano andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il consiglio di amministrazione si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era saltato e io ero completamente devastato.

Per alcuni mesi non ho saputo davvero cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me; come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley.

Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti, consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, ‘Toy Story’, e adesso è lo studio di animazione di maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono tornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. Mia moglie Laurene e io abbiamo una splendida famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E’ stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente.

Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non bisogna perdere la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l’ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d’amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi.

La terza storia è a proposito della morte.

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, un giorno avrai sicuramente ragione”. Mi colpì molto e da allora, negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose - tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire - semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante.

Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che abbiamo sempre qualcosa da perdere. Siamo già nudi. Non c’è ragione, quindi, per non seguire il nostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la Tac alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Prima non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile, che sarei morto entro i prossimi tre, al massimo sei mesi. Quindi sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi di poter dire loro in dieci anni. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire ai tuoi addio.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini, per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia, ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso, per fortuna, sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche l’unica per qualche decennio. Essendoci passato attraverso, adesso posso parlarvi con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte per me era solo un concetto astratto

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso, in realtà non vogliono morire per andarci. Ma la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. è l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo.

Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo, c’era un giornale incredibile che si chiamava ‘The Whole Earth Catalog’, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E’ stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci aveva messo dentro tutto il suo tocco poetico. E’ stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine per scrivere, forbici e foto Polaroid. E’ stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di ‘The Whole Earth Catalog’ e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono l’ultimo numero. Era più o meno la metà degli anni Settanta. Nell’ultima pagina di quel numero finale c’era la fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: ‘Stay Hungry. Stay Foolish’, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio.

Stay Hungry. Stay Foolish: io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish.”

Traduzione di Antonio Dini
Fonte: espresso.it
Grazie a Vincenzo per avermelo fatto vedere in originale, tempo fa. Una emozione che dura ancora.


L’aria che tira.

02 10 11 @ 09:15  silvio.maselli

Il concerto di Antony è andato “oltre Frontiere”, traghettandoci in un mondo lontano dagli affanni e ricolmo di emozioni. Fortuna che esistono queste soddisfazioni nella vita, perché a volte ti chiedi perché son qua? A quale superiore forza devo fare appello per superare anche questa prova?
Ma poi nel nostro mestiere a volte succede che riesci a trovare il bandolo e dipanare la tua tela per spiegarla al vento e issarla come una bandiera. Forte dei tuoi valori. Ben piazzato sulle gambe della tua morale.

Alla ricerca di un motivo per riportare il centro della mia vita sulle cose che contano veramente, ho scoperto di non dover andare troppo lontano e l’occasione giusta me la regala un nostro consigliere di amministrazione, che scrive in modo sublime e dice cose sempre intelligenti. Che io condivido. E allora grazie Enrico.

“Un collega con il quale, malgrado la rispettiva veneranda età, mi capita di avere bisticci, in quel modo un po’ puerile e un po’ astioso che caratterizza tanta parte della vita cittadina, mi diceva l’altro giorno di sentirsi dispiaciuto del mio odio. È chiaro che ciascuno di noi è responsabile non solo di ciò che fa, ma anche delle inferenze non irragionevoli che possono essere tratte da ciò che fa; quindi non posso che rammaricarmi e rimproverare me stesso se un eccesso di irruenza o di animosità hanno potuto lasciare questa impressione. Ma in realtà l’odio è un sentimento che mi è estraneo; più precisamente è un sentimento che mi sono proibito, perché lo considero un vizio peggiore di quello del fumo, una dipendenza più nefasta di quella dall’eroina o dal gioco. L’odio è l’oscura cella in cui andiamo a rinchiuderci quando diventiamo schiavi (non è un caso che la parola “cattivo” venga dal termine latino “captivus”, che vuol dire prigioniero). Ora, è molto difficile, a chiunque non ne sia immune per indole, non cedere ogni tanto alla rancorosa recriminazione, sia dettata da invidia o ingiustizia; e capita che un torto vero o presunto generi una furia difficile a trattenersi. Ma si tratta di cadute momentanee, di emergenze provvisorie ed insignificanti come il prurito: per fastidiose che siano, non assurgono al cupo spessore dell’odio, a questo disperato e drammatico vizio dell’anima. È un vizio a cui si può rinunciare, normalmente con fatica e disagio ancora minori di quanti ne occorrano per liberarsi delle sigarette o della cocaina: si tratta di agganciarsi alle molte opportunità che ti offre in questo senso la vita. L’antidoto migliore all’odio è naturalmente la felicità, ed io sono stato in questo senso un privilegiato, perché ho fatto il lavoro più bello del mondo, unito il mio destino ad una persona meravigliosa e via discorrendo. Ma la felicità, come insegna Montale, è teso ghiaccio che si incrina; le avversità sono sempre in agguato per turbarla o frangerla, e noi stessi ne siamo spesso infedeli custodi. Ma per quel che può valere la mia personale esperienza, c’è qualcosa che libera dall’odio, solo che lo si voglia, in modo definitivo: per me è stata la nascita di mio figlio. Felicità pura, indicibile, ma anche di qualità diversa ed inusuale, starei per dire inquietante. Perché in ogni nascita c’è un senso di trapasso: è il testimone della vita che passa da una mano ad un’altra. In questa cessione irreversibile, per cui la tua vita resta tua, ma in qualche modo non ti appartiene più del tutto, tuo figlio diventa la sintesi di tutto ciò che hai trasmesso, delle impronte e dei codici che, in modo volontario o casuale, hanno accompagnato il tuo cammino. Capisci allora che sei stato tramandato, e che questo ti ha reso, qualunque cosa accada, incancellabile. Sei stato affrancato dall’incubo di una vita priva di senso e di seguito, e non importa se durerà ancora molti anni o pochi giorni. Hai l’impareggiabile opportunità di non essere più un irripetibile e lievemente insulso atomo elettrizzato, cui le cariche magnetiche conferiscano la casuale vitalità di una pallina da flipper; riesci a vederti, finalmente, come punto di una rete, stazione di arrivo e di partenza di infinite diramazioni e scambi, memorie, progetti. Riesci a comprendere, allora, che sei un’onda in vasto lago, nel quale le acque dei fiumi del male e del bene, della fortuna e della sventura, sono compresenti e indistinguibili. Chi ha visto questo spettacolo non è salvo dal dolore, e nemmeno dalla disperazione; ma è guarito per sempre, purché lo voglia, dall’odio, è scampato per sempre alla sua oppressione. Se sei stato attraversato dalla libertà, non consentirai a niente e nessuno di imprigionarti nuovamente. Per questo, comunque vadano le cose, morirò da uomo libero. E ne sarò grato per l’eternità.”

Fonte: https://www.facebook.com/notes/manrico-trovatore/intorno-allodio/260682660637363


Cosa succede a Cinecittà?

27 09 11 @ 10:39  silvio.maselli

Mentre apprendiamo che la festa del cinema di Roma ha un budget di 12,8 milioni di euro (di cui circa 4 da fonti pubbliche e il resto dai privati), a Cinecittà cambiano i vertici. E scoppiano le polemiche per l’ennesimo uomo del giro Mediaset che si occuperà del nostro immaginario collettivo e che deciderà del cinema che vedremo nei prossimi anni.

Fonte: www.e-duesse.it

Designato il nuovo Cda di Cinecittà - Istituto Luce. Il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giancarlo Galan, dando seguito alla riforma per il riassetto di Cinecittà - Istituto Luce, ha nominato Rodrigo Cipriani in qualità di presidente; Roberto Cicutto (ex presidente Cinecittà Luce) amministratore delegato; Riccardo Tozzi (presidente Anica) consigliere d’amministrazione.

I cambi al vertice di Cinecittà Luce (si veda agenzia http://www.e-duesse.it/News/Cinema/Cinecitta-Istituto-Luce-Galan-nomina-il-nuovo-Cda-119682) decisi dal ministro dei Beni Culturali, Giancarlo Galan, hanno fatto discutere il mondo della politica; soprattutto la non conferma di Luciano Sovena in qualità di amministratore delegato (al suo posto è stato nominato l’ex presidente Roberto Cicutto). Ieri pomeriggio è stata presentata un’interpellanza parlamentare a firma Emerenzio Barbieri e Gabriella Carlucci (Pdl), ma sottoscritta da 30 parlamentari bipartisan, a favore di Sovena, Ha dichiarato Gabriella Carlucci: “Sovena ha svolto un ottimo lavoro per lo sviluppo e la promozione del cinema italiano in Italia e all’estero, riscuotendo l’approvazione di numerosi esponenti della cultura italiana. Perché sostituirlo? Tutti riconoscono a Sovena di aver scoperto nuovi talenti, raggiungendo importanti traguardi, con una gestione di contenimento dei costi, senza penalizzare la qualità”. Intanto a Luciano Sovena è stata proposta una consulenza in Cinecittà Luce per occuparsi di film e documentari: “Penso che potrei accettare” ha dichiarato l’interessato.

Una scelta che suscita “profonda preoccupazione”. È quanto affermano in un comunicato i 100autori in merito ai nuovi vertici di Cinecittà - Istituto Luce (si veda agenzia su e-duesse.it, http://www.e-duesse.it/News/Cinema/Cinecitta-Istituto-Luce-Galan-nomina-il-nuovo-Cda-119682). Oltre “alle modalità con cui si è proceduto a questa scelta”, si legge nella nota, l’associazione esprime perplessità riguardo “il profilo potenzialmente in conflitto d’interessi di alcuni tra i designati: Rodrigo Cipriani proviene infatti da una azienda Mediaset, Riccardo Tozzi è a capo di Cattleya, una delle maggiori case di produzione private del Paese, nonché presidente dell’Anica”. Aggiungono i 100autori:
“Vorremmo inoltre sapere se risponde al vero che sia già previsto un contratto di consulenza esterna per la realizzazione del prodotto, e quali costi comporti, visto che una delle finalità della nuova società dovrebbe essere invece quella di razionalizzare i costi di gestione”. L’associazione ritiene infine “gravissimo” che “questo passaggio cruciale per la sopravvivenza di Cinecittà Luce, del suo archivio e dei suoi beni immobili sia avvenuto senza alcuna consultazione degli autori che questo patrimonio culturale hanno storicamente contribuito a creare e preservare”.

In una dura nota, l’Anac, l’Associaizone nazionale degli autori cinematografici, critica il ministro Giancarlo Galan per ave rnominato Rodrigo Cipriani presidente di Cinecittà Luce: “Prosegue il tentativo di demolizione del cinema italiano. Il nuovo Ministro della cultura ha nominato alla presidenza della nuova società Cinecittà-Luce srl - e cioè di quello che era rimasto l’unico luogo di intervento pubblico nel cinema – il signor Rodrigo Cipriani che dopo essere stato amministratore delegato di Mediashopping ha presieduto, sempre per incarico di Galan, la società Buonitalia, formalmente costituita “per la valorizzazione degli agroalimentari”". Continua il comunicato: “Ancora una volta le nomine avvengono senza tenere conto delle professionalità e delle competenze e senza ascoltare neanche per un parere le forze culturali e produttive del cinema. Ma quel che conta di più oggi è conoscere la missione reale che gli è stata affidata dal ministro e i modi con cui intende realizzarla. L’associazione nazionale autori cinematografici si batterà fino in fondo contro lo smantellamento di Cinecittà e per la ricostruzione di un polo pubblico destinato alla produzione, distribuzione e conservazione del cinema italiano”.


Un mercato extraterrestre

19 09 11 @ 08:17  silvio.maselli

Incredibile che il miglior film italiano passato a Venezia (secondo la critica maggioritaria e la gran parte dei presenti da me interpellati), L’ultimo terrestre di Gipi, incassi dopo due settimane solo 81.000 €. E’ un mercato extraterrestre il nostro.


Paradossi televisivi

14 09 11 @ 09:00  silvio.maselli

Nella giornata televisiva in prime time di lunedì 12 settembre 2011 i telespettatori italiani che non hanno preferito godere della frescura serale, si sono divisi, nella loro maggioranza tra Rai Uno e Canale 5.
Sull’ammiraglia Rai passava una fiction con il “nostro” Riccardo Scamarcio quale protagonista che ha totalizzato circa 3,3 milioni di telespettatori.
Su Mediaset, invece, passava “Il commissario Zagaria”, mini serie Tv sostenuta dalla Apulia film commission e girata interamente a Lecce e dintorni. Ha totalizzato uno share del 13,6% per 3 milioni di tele spettatori.

Ieri sera, invece, ha vinto Ballarò (confermando che gli italiani amano lo scontro tra politici, più che il dibattito anglosassone) con il 19% e il nostro Commissario Lino Banfi è salito al 14,7 % per 3,5 milioni di spettatori. Caso raro e di successo in cui una mini serie in due puntate cresce alla seconda, piuttosto che cadere.

Ma il dato più significativo è che lunedì sera, gli italiani teledipendenti, non avevano grande scelta tra il mitico Lino Banfi nonno nazionale e il giovane e bravo attore orgogliosamente pugliese Riccardo Scamarcio.

Due a zero per la Puglia del cinema e dell’audiovisivo!


Venezia

09 09 11 @ 04:13  silvio.maselli

Molto partecipata e utile la nostra presentazione veneziana.
Tutti i presenti impressionati dai numeri che raccontano del nostro approccio industriale all’audiovisivo, per cui - come nel caso degli ottimi colleghi piemontesi - non importa se Il Divo è ambientato a Roma, ma girato a Torino; conta quest’ultimo dato che produce, come ci ha spiegato Bruno Zambardino, direttore della ricerca della Fondazione Rosselli, impatti economici e occupazionali.
Poi leggi alcuni giornali tendenziosi e fascistoidi (che brutto vizio italiano quello di denigrare l’avversario senza capirne le ragioni e gli argomenti, senza svolgere un lavoro davvero critico, ma solo polemico e fazioso) e ti sembra di aver vissuto una giornata diversa da quella descritta da loro.
Ma la verità come sempre, è rivoluzionaria.
Chi c’era sa. E per fortuna chissenefrega dei giornali di quasi partito.

Fonte ispiratrice: http://www.libero-news.it/news/817061/L-ultima-frontiera-di-Vendola-Un-Festival-per-la-Puglia.html


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