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Ecco come i partiti, in particolare in questi ultimi anni del tonfo berlusconiano, hanno ridotto la Rai.
Ma scusate, il signor Minzolini, disastroso ex conduttore del Tg 1, defenestrato solo a causa di spese folli sostenute con la carta di credito aziendale (cioè nostra), e non per il tracollo degli ascolti di quello che un tempo era l’inarrivabile telegiornale della rete ammiraglia, prima di essere assunto in Rai non era forse un dipendente de “La Stampa” di Torino?
Quindi invece che farlo andare in aspettativa gratuita dal suo giornale e assumerlo temporaneamente, lo hanno assunto a tempo indeterminato in Rai?
Non conosco nel dettaglio il contratto collettivo dei giornalisti, né quello Rai in particolare. Ma questa notizia mi procura una amarezza cosmica: la Rai, quella che - si diceva spesso - va considerata come la più importante impresa culturale italiana (e figurati le altre…), pur sicura di vincere il ricorso di un procedimento di primo grado avverso a Minzolini, preferisce proporgli un incarico prestigioso e delicato? Ma che Paese è questo?
Io quando finirà il mio mandato di Direttore della Apulia Film Commission mi cercherò un altro datore di lavoro se vorrò continuare a fare il Direttore. Questo è l’unico modo possibile per garantire il ricambio, la trasparenza, la giustizia sociale data dalla mobilità .
Ahhhhhhhh!
Fonte: e-duesse
“Spaccato sui palinsesti, il consiglio di amministrazione ha comunque approvato ieri la nomina di Augusto Minzolini a Direttore della Direzione Corrispondenti Esteri, con sede a Roma. Con questo incarico, il giornalista rinuncia al ricorso contro il provvedimento di urgenza del Tribunale del Lavoro di Roma che riconosceva la legittimità del trasferimento a altro ufficio, diverso dalla direzione del Tg1 (dal quale era stato rimosso a seguito del rinvio a giudizio per peculato) disposto dalla Rai. La transazione sarà formalizzata durante l’udienza del 5 giugno presso il Tribunale Collegiale del Lavoro di Roma. Dopo la rimozione dalla direzione del Tg1, viale Mazzini aveva precedentemente proposto, senza successo, al giornalista la corrispondenza dagli Usa con sede a New York. A proposito del nuovo incarico, il fiduciario sindacale dei corrispondenti esteri, Alberto Romagnoli, ha già richiesto un incontro urgente a Minzolini per valutare progetti di riorganizzazione della struttura e proporre piani di risparmio che tengano conto della necessità dell’informazione internazionale. Nel giorno della nomina dell’ex direttore del Tg1, infatti, i corrispondenti hanno ricevuto comunicazione della chiusura delle sedi di Istanbul, Beirut, Buenos Aires e New Delhi.”
Fonte: primaonline
I titoli Italiani sono scomparsi dalle sale. Tra gli 87 titoli ancora programmati e monitorati da Cinetel solo 20 sono italiani, di questi 20 ben 15 non hanno superato un milione di euro d’incasso. Il primo incasso italiano di ieri 29 maggio e’ di “Operazione vacanze” in nona posizione con 12 mila euro e un totale di 205 mila euro rispetto ai 157 mila euro incassati ieri da “M.I.B. Men in black III” con un totale vicino ai 3 milioni di euro. Rispetto all’incasso totale piu’ alto degli ultimi mesi di “The Avengers” arrivato a 17.5 milioni di euro, sono solo 5 i titoli italiani ancora in programmazione nei cinema che hanno superato un milione di euro d’incasso: “Magnifica presenza” 3.1 milioni di euro, “Buona giornata 2.9″,”Scialla! 2.4″,”Romanzo di una strage 2″,”Diaz 1.8″. Sotto 1 milione di euro altri 15 titoli italiani: “Ciliegine” 756 mila euro,”Il primo uomo” 737, “Cesare deve morire” 681,”Un giorno questo dolore ti sara’ utile” 516, “Io sono li”’ 412, “Operazione vacanze” 205,”100 metri dal paradiso” 167,”Il richiamo” 108, “Workers” 69, “I giorni della vendemmia” 38, “Fallo per papa”’ 24, “Maledimiele” 10, “Napoli24″ 10.”Sandrine nella pioggia” 9, “Quijote” 1.

Questo comunicato stampa dell’AGIS di Puglia e Basilicata è drammatico e, insieme, carico di orgoglio e speranza.
Un Governo che, dinanzi al disastro naturale del terremoto in Emilia e nella crisi economica più drammatica degli ultimi due secoli alza ancora le accise sulla benzina, sarà in grado di ascoltare questo grido di dolore?
“In questi anni la Regione Puglia ha operato per ribaltare quella visione della cultura come Cenerentola, sorella povera e bistrattata di tutti gli altri settori considerati da sempre con maggiore rispetto, diventando per questo Governo Regionale una realtà su cui si giocava e misurava la differenza di questa Amministrazione con tutte le altre.
E questo messaggio è passato al resto dell’Italia, i cui operatori culturali e dello spettacolo guardano con ammirazione e attenzione al “miracolo pugliese”: ci invitano, ci studiano, ci copiano, ci invidiano.
Dobbiamo, però, cominciare a dirci e a dire che si è trattato di una dolce illusione, perché le buone leggi, i migliori regolamenti, gli innovativi progetti e gli interventi illuminati crollano alla prova di una gestione amministrativa condizionata pesantemente dal “patto di stabilità ”, nonostante il lavoro svolto con scrupolosità e costanza dall’Assessore Silvia Godelli.
Gli operatori pugliesi dello spettacolo, tutti – grandi e piccoli, paludati e non – sono ancora oggi in attesa della liquidazione dei contributi concessi per gli anni 2010 e 2011 (qualcuno anche per il 2009), ed ancor peggio delle relative anticipazioni. Un ritardo non più sopportabile da parte delle tantissime microaziende dello spettacolo in Puglia, sempre più strette da crediti erogati con sempre maggiore difficoltà .
Vittime anche loro, anzi soprattutto loro, della crisi economica, in quanto è noto che i governi nazionali e le amministrazioni locali stringono la cinghia eliminando, tagliando, offendendo di fatto il diritto dei cittadini alla cultura.
Gli operatori, ormai strozzati dagli anticipi richiesti alle banche e dai nuovi debiti contratti per anticipare e affrontare i costi delle attività degli anni 2011 e 2012, chiedono al Presidente Vendola di operare nei confronti del Governo centrale perorando un allentamento dei vincoli determinati dal Patto di Stabilità , così da consentire la liquidazione dei contributi dovuti, unica condizione per evitare il tracollo del tanto osannato sistema culturale pugliese.
Chiedono ancora che alcuna strada rimanga intentata anche sul piano regionale e che si operi insieme per individuare e definire adeguate strategie e tempi di uscita da questa crisi.
E’ in gioco il lavoro di centinaia di addetti e la vita delle loro famiglie.
Si vorrebbe tutti continuare a credere alla terra del miracolo, dove la cultura è considerata alla pari con gli altri settori che compongono il variegato mosaico delle attività produttive, per questo si é pronti ad agire con determinazione in tutte le sedi locali e nazionali affinché sia riconosciuto il diritto alla vita ed alla cultura dei cittadini pugliesi tutti.
Sezione spettacolo dal vivo Agis Puglia e Basilicata”
Ispirare gli altri è la conferma di un lavoro di innovazione e invenzione che abbiamo svolto in questi quasi cinque anni di attività .
All’ultimo Mip TV incontro un produttore che siede nel board del CNC francese. Gli parlo del nostro futuro fondo internazionale. Lo vedo troppo interessato.
Passan due mesi ed ecco che il CNC lancia questo suo nuovo fondo: http://www.cnc.fr/web/en/tax-rebate
Da quattro anni realizziamo l’importante “Progetto Memoria”: http://vintage.apuliafilmcommission.it/category/progetti/progetto-memoria-2010/
Alcuni dei suoi autori hanno vinto premi in giro per il mondo e alcuni altri si accingono a fare il grande salto verso il primo lungometraggio.
Ed ecco che altri colleghi seguono le nostre orme con questo progetto dal titolo “Luce su Napoli”. Bellissimo.
Ed assai simile al nostro memoria: http://news.cinecitta.com/news.asp?id=38037.
Non bisogna mai essere gelosi del proprio lavoro. Noi, anzi, siamo orgogliosi di essere capaci di innovare continuamente.
Ispirare gli altri richiede una corsa più veloce e generosa.
Non mancheremo di rimanere allenati.
Tempi duri per la stampa internazionale al Festival di Cannes. Non bastano le alzatacce mattutine per la première vision o le interminabili code sotto il sole alla ricerca del biglietto perduto, ora sulla bollente Croisette impazza lo scandalo delle interviste a pagamento. Proprio così, bisogna sborsare soldi in contanti per assicurarsi due chiacchiere di persona con gli attori più celebri di Hollywood.
Appaiono decisamente lontani, infatti, i tempi in cui erano le star a voler apparire sempre e comunque. E soprattutto gratis. Oggi le potenti major, società che detengono i diritti sui film, dettano legge, presentando il conto a riviste e televisioni per incontri ravvicinati con i divi del grande schermo. Non si fanno sconti, né eccezioni, tanto che circola un vero e proprio tariffario a uso e consumo dei ricchi media. Artisti del calibro di Brad Pitt, Kristen Stewart e Nicole Kidman vengono concessi dietro ricompensa, ma non pensate che il fastidioso “pizzo” vada poi a finire nelle tasche dei personaggi da Oscar. Sono le case di produzione a incassare, con la motivazione di dover in qualche modo rientrare delle folli spese sostenute per la presentazione della pellicola in concorso.
Qui in Costa Azzurra tutto è carissimo, viaggi in aerei privati, spostamenti a bordo di blindate limousine, nugoli di muscolosi body guard, lussuose suite, ristoranti da guida Michelin, per non parlare dei vizi o delle bizzarre richieste del vip di turno.
Ma il nascere di un mercato per le interviste ha infastidito diverse riviste, in particolare francesi: come ha rivelato il transalpino Liberation Next, alcuni giornalisti d’Oltreoceano si sono sentiti chiedere 3.000 euro per incontrare faccia a faccia l’idolo Brad Pitt prima della visione del film Killing Them Softly. Il distributore canadese Alliance Film avrebbe imposto alla stampa il necessario obolo, esigendo la medesima cifra anche per parlare con gli altri protagonisti Richard Jenkins e James Gandolfini. Per una tavola rotonda l’offerta partiva da 2.000 euro. Ma la società in questione sarebbe recidiva, dopo aver riservato lo stesso trattamento anche per l’uscita del lungometraggio On the road, adattamento cinematografico del celeberrimo libro di Jack Kerouac.
Tariffe leggermente più basse, 1.500 euro per un faccia a faccia di un quarto d’ora con l’attrice Kristen Stewart o il regista Walter Salles, mentre una conveniente formula pacchetto da quattro minuti partiva da “appena” 2.000 euro. Un affare da non perdere, ma che ha lasciato basiti i corrispondenti del quotidiano La Presse.
Gira la voce che il caso di Alliance Film non sia isolato. Esplosa sulla Croisette la querelle sulle inusuali compravendite, il giornale tedesco Der Spiegel ha voluto dire la sua, sostenendo che anche le interviste con Nicole Kidman e Matthew McConaughey, principali attori della pellicola Paperboy, sarebbero state lautamente monetizzate a cifre di mercato dalle case di produzione.
Le proteste nel frattempo aumentano, i media insorgono, ma i serafici dirigenti delle major minimizzano, giustificandosi che si sarebbe trattato di un semplice, nonché equo, rimborso per i notevoli costi organizzativi del Festival. Nulla di più, triste ma vero.
Bisogna comunque fare delle considerazioni e domandarsi il perché delle richieste in denaro, visto che potrebbero trasformarsi in un boomerang per le pellicole in uscita. La categoria dei giornalisti ama, infatti, essere coccolata, mica vessata.
L’unica risposta plausibile è che i due più importanti festival cinematografici sono spudoratamente costosi. Se Berlino, Locarno, Londra e San Sebastian vivono la rassegna internazionale come fattore di crescita e visibilità , come trampolino di lancio e non occasione di lucro, Cannes e Venezia sono oggetto di una insulsa rapacità da parte del proprio indotto. Occorre dirlo: albergatori e commercianti, tutti all’unisono, si scatenano a proporre il prezzo più alto, in una bieca speculazione tale da provocare una vorticosa gara al rialzo. Per questo motivo alcune importanti società preferiscono non andare a settembre in Laguna, privilegiando, a, esempio la concorrenziale rassegna di Toronto, che ha spese nettamente inferiori. Ma a Cannes è impossibile rinunciare, rimane tuttora un palcoscenico insostituibile per il mercato che conta. Qui si sviluppa il vero business, qui si programmano i budget per l’anno, imbastendo le trattative per le future sinergie e produzioni. Costi quel che costi.
Fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/Spettacoli/1025448/Tremila-euro–per-parlare—con-la-Kidman.html
Spesso mi trovo a pensare che Italia sarebbe, la nostra, con poche decisive riforme di sistema. Riforme del paradigma culturale innanzitutto. Vent’anni di berlusconismo e di leghismo ci hanno ridotto in brandelli il cervello, rendendoci incapaci di progettare il futuro e di sognarlo diverso dall’oggi.
Per questo la crisi economica che attraversiamo è, se possibile, ancora più grave di quanto non appaia. Perché nel ciclo neoliberista e conservatore che forse finirà nel 2013 (?!!), siamo cresciuti credendo vere le storielle che ci hanno raccontato media supini e politici ignorantissimi.
Tra queste leggende ve n’è una davvero devastante: quella secondo la quale gli immigrati ci rubano il lavoro e ci rendono meno sicuri.
E’ un “fake” clamorosamente gettato nei cervelli italici per aumentare il tasso di paura, che genera reazioni scomposte e produce desiderio di sicurezza, facendo aumentare nei sondaggi i partiti d’ordine.
Ma è un errore duplice. Perché a spesa pubblica immutata, appare evidente come il PIL italiano non riuscirà a crescere senza una politica industriale che investa in maggiore efficienza energetica, in maggiore innovazione di prodotto e di processo, in manifatture di qualità e in servizi avanzati basati sul web a banda larga. E per fare tutto questo occorre che il numero dei lavoratori attivi sia superiore a quello dei pensionati, altrimenti il saldo pensioni/salari sarà negativo per i secondi.
A questo problema una donna intelligente, ma profondamente conservatrice in politica come Elsa Fornero, ha già fornito la sua risposta tranchant: aumentare sino a 73 anni l’età pensionabile. Sicché io, nato nel 1975, smetterò di lavorare all’età in cui mio padre sarà in pensione da quindici anni, sia pure con 40 anni di contributi.
Evidentemente è la risposta sbagliata perché non tiene conto della qualità della vita e perché non vuole aggredire il tema più importante: l’Italia ha bisogno di aria fresca, di nuove energie intellettuali e manuali, di nuove culture che arrivino da paesi emergenti nei quali non esiste la decrescita demografica come da noi, dove cresciamo a tassi zero.
Per fare questo occorre renderci simili agli Stati Uniti, un grande e contraddittorio Paese, certo, ma pur sempre il luogo dove un cecoslovacco di nome Robert Kyncl, un russo di nome Sergey Brin, un cinese come Steve Chen, un iraniano come Salar Kamangar possono incontrarsi all’università in anni e classi diverse e, nel chiuso dei garage dei propri genitori, o magari dopo essersi licenziati da PayPal, inventare aziende rivoluzionarie come Google o You Tube.
Aprire le porte, fare entrare aria fresca è una necessità impellente e non rinviabile per l’Italia.
Ma io credo anche non si possa fare le cose a metà , come nostro solito.
I figli nati in Italia da migranti, indipendentemente dalla etnia dei propri genitori, devono assumere la nazionalità italiana in automatico. E ai migranti che risiedono in Italia da più di cinque anni, se dimostrano di aver lavorato almeno per un anno, concederei la cittadinanza e la residenza senza indugio. Non possiamo aprire le porte a metà . In Italia nessuno si senta straniero. E allora vedi come cambia il Paese.
Nell’era (post?) liquida iniziano a circolare teorie che un tempo avremmo definito psichedeliche o frikettone, ma che invece - dopo l’esplosione di fenomeni collaborativi e web based come le piattaforme wiki per esempio - hanno un fondamento importante per aiutare la scienza triste a comprendere che i propri pilastri teorici neoclassici sono morti. E sepolti.
Tra queste teorie ci sembra molto interessante la cosiddetta “Rainforest” - la foresta pluviale, come luogo in cui nel disordine generale, crescono nuove specie vegetali - elaborata da Greg Horowitt e Victor Hwang. Grazie a Giovanni D’Aloja per averla segnalata.
I costi di transazione sono maggiori al Sud, dove domina da secoli lo spirito selvaggio del sospetto. Quando abbatteremo quest’ultimo tabù, non avremo nulla altro da fare che spiccare il volo.
A voi per ogni possibile alta riflessione.
“Pochi giorni fa abbiamo introdotto il concetto di Rainforest, il nuovo paradigma teorico dell’innovazione proposto da Greg Horowitt e Victor Hwang.
Ci apprestiamo ora a discuterne in maniera più ampia ed esaustiva, distinguendo in particolare la teoria dagli aspetti operativi.
La prima cosa che si impara in un corso di economia è la necessità di mantenere separate le due fasi dell’analisi economica: quella positiva e quella normativa.
La fase positiva è quella in cui bisogna identificare le variabili fondamentali dell’ambiente osservato, per poterlo descrivere con precisione e poter comprenderne le dinamiche di funzionamento. La fase normativa è quella delle scelte valoriali, in cui il policymaker decide come modificare le variabili studiate tenendo conto degli obiettivi che si propone di raggiungere.
Perché questa distinzione? Per evitare che la descrizione del fenomeno che si vuole affrontare sia viziata da considerazioni di carattere “ideologico”.
Seguiamo anche noi questo approccio, e partiamo dall’analisi positiva: gli autori sintetizzano il contenuto del loro modello in 14 assiomi, 14 proposizioni che evidenziano le “leggi fondamentali” della Rainforest:
Assioma 1 : “While plants are harvested most efficiently on farms, weeds sprout best in Rainforest”
Assioma 2 : “Rainforests are built from the bottom up, where irrational behavior reigns”
I primi due assiomi evidenziano la differenza strutturale tra modello tradizionale e modello “rainforest”: il primo è basato sul controllo rigido delle risorse e sul suo sfruttamento razionale per massimizzare l’output, il secondo si fonda su relazioni spontanee ed orizzontali.
Assioma 3 : “What we typically think of as free markets are not that free”
Il modello neoclassico si rivela inefficace perché ipotizza condizioni che non esistono nella realtà .
Assioma 4 : “Social barriers – caused by geography, networks, culture, language, and distrust – create transaction costs that stifle valuable relationship before they can be born.”
Assioma 5 : “The vibrancy of a Rainforest correlates to the number of people in a network and their ability to connect with one another.”
Assioma 6 : “High social barriers outside of close circles of family and friends are the norm in the world.”
Assioma 7 : “Rainforests depend on people who actively bridge social distances and connect disparate parties together.”
Il potenziale innovativo del mercato è frenato dall’esistenza di alti costi di transazione, le cosiddette “barriere sociali”, che non possono essere rimosse dal regolatore perché sono dovute all’irrazionalità dell’essere umano. L’efficacia del modello Rainforest è invece dovuto all’esistenza di soggetti capaci di connettere operatori economici distanti tra loro e di creare un network inclusivo.
Assioma 8 : “People in Rainforests are motivated for reasons that defy traditional economic notions of “rational” behavior.”
Assioma 9 : “Innovation and human emotion are intertwined.”
Nella realtà , contrariamente a quando prevede la teoria neoclassica, le motivazioni che guidano l’azione degli individui sono spesso extra-economiche ed extra-razionali. L’esperienza degli autori sembra suggerire loro che l’innovazione sia in primo luogo emotiva.
Assioma 10 : “The greater the diversity in human specialization the greater the potential values of exchanges in a system.”
Assioma 11 : “The instincts that once helped our ancestors survive are hurting our ability to maximize innovation today.”
Le ” barriere sociali” sono nocive perché impediscono gli scambi tra individui profondamente diversi dal punto di vista socio-culturale, vale a dire quelli che in genere sono gli scambi più proficui. L’esistenza di queste barriere è determinata, per la precisione, da un’ostilità verso l’esterno istintiva e primitiva, quasi “tribale”, che abbiamo ereditato dai nostri antenati.
Assioma 12 : “Rainforests have replaced tribalism with a culture of informal rules that allow strangers to work together efficiently on temporary projects.”
Assioma 13 : “The informal rules that govern Rainforests cause people to restrain their short-term self-interest for long-term mutual gain.”
Assioma 14 : “Rainforests function when the combined value of social norms and extra-rational motivations outweigh the human instincts to fear.
L’atteggiamento tribale di cui sopra può essere sconfitto tramite l’adozione di alcune regole informali condivise che permettano di superare la diffidenza iniziale e di costruire solidi rapporti di fiducia: entriamo qui nella fase normativa.
Regola 1 : “Thou shalt break rules and dream.”
Le persone devono rompere gli schemi esistenti, devono osare, perché pensare in grande è la prima condizione per realizzare almeno in parte il proprio progetto.
Regola 2 : “Thou shalt open doors and listen.”
La predisposizione al dialogo, all’ascolto reciproco e ai punti di vista differenti favorisce enormemente la diffusione della conoscenza. L’approccio “knowledge-oriented” è fondamentale per lo sviluppo della Rainforest.
Regola 3 : “Thou shalt trust and be trusted.”
Affinché le relazioni nascano e si sviluppino è necessaria una fiducia reciproca tra le parti, così da abbassare i “transaction cost”, ridurre le distanze e velocizzare il processo innovativo.
Regola 4 : “Thou shalt experiment and iterate together.”
La velocità e la potenza del processo innovativo dipendono in misura rilevante anche dal modo di testare i propri prodotti: il processo sperimentale collettivo è conveniente perché abbassa il costo individuale del fallimento.
Regola 5 : “Thou shalt seek fairness, not advantage.”
Le persone investono e continuano a investire fintanto che le promesse fatte continuano ad essere mantenute. I comportamenti egoistici, che puntano a guadagnare nel breve periodo, infrangono queste promesse e il clima di fiducia esistente, impedendo al progetto di dispiegarsi in maniera compiuta.
Regola 6 : “Thou shalt err, fail, and persist.”
Questo è un punto molto importante: va diffusa e difesa un’etica del fallimento, visto non più come fine irreversibile della propria esperienza imprenditoriale, ma come stimolo ad un continuo miglioraento. Il fallimento è il primo passo verso l’apprendimento.
Regola 7 : “Thou shalt pay it forward”
Ancora una volta emerge l’importanza di una visione lungimirante e complessiva dell’atttività economica: fare favori senza aspettarsi niente in cambio, nel lungo periodo ripaga, spesso in maniera più che proporzionale.
Fonte primaria:
http://www.amazon.com/The-Rainforest-Secret-Building-Silicon/dp/0615586724/ref=sr_1_14?ie=UTF8&qid=1337023293&sr=8-14
Fonte secondaria:
http://www.workingcapital.telecomitalia.it/2012/05/il-modello-rainforest-dalla-teoria-alla-pratica-assiomi-e-regole/
Bè, facciamo scuola allora.
http://www.linkiesta.it/gomorra-cinema-pizzo
La rivista Millecanali racconta che la fiction in Italia è in crisi. Per tanti e chiari motivi. Il più importante fra questi, per me, è al solito l’assenza di un mercato vero. I produttori di fiction sono schiavi delle scelte finanziarie e artistiche dei network televisivi che acquistano il 100% dei diritti, lasciando al produttore solo il gusto di dire l’ho pensata e sviluppata io. Cosa peraltro non vera, giacché quasi tutti i produttori son costretti ad attenersi alle linee guida editoriali dei network, ahimè spesso guidati da vecchi rottami della politica, in alcuni casi ex politici travestiti da uomini di televisione o di contenuto.
Roba che in Sudafrica, America o nel Regno Unito si mettono a ridere quando gliela raccontiamo sulla Croisette.
Fonte:
Le cifre parlano chiaro: in Italia la produzione nazionale di serie e miniserie, comunemente definite “fiction”, é un dramma. Ironicamente, in americano “fiction” si traduce proprio con “dramma”. I motivi sono vari e complessi, ma vale la pena elencarli.
In primo luogo, c’é la grande offerta americana a basso costo ed altissimo rendimento. Basti pensare che, secondo un recente studio inglese, con un costo medio di 52.000 euro per ora di fiction americana, le reti Tv italiane generano entrate medie di quasi 82.000 euro/ora.
Poi ci sono gli alti costi della produzione nazionale. Questo quadro non è chiaro perché nel settore girano almeno tre differenti stime. Da una parte c’é la ricerca della Fondazione Rosselli del 2008 (”Il valore della fiction in Italia”) che valuta la produzione italiana a 700 milioni l’anno per circa 2.200 ore, quindi una media di 318.000 euro per ora. Dall’altra c’é il rapporto “100 Autori”, nel quale alla produzione nazionale vengono assegnati 335 milioni di euro l’anno. Infine ci sono le cifre fornite da Fabrizio Del Noce di Rai Fiction, con costi minimi di 1,1 milioni di euro/ora.
Premettendo che i dati forniti dalla Fondazione Rosselli si equiparano a quelli del rapporto inglese, con le cifre dei “100 Autori” i costi di produzione sarebbero di circa 152.000 per ora, mentre con la somma fornita da Del Noce, la fornitura annuale sarebbe di 305 ore e non 2.200, come indicato dalle altre ricerche da noi prese in esame.
Considerando i costi provenienti dallo studio della Fondazione Rosselli, cioé una media di 318.000 euro/ora, con le fiction nazionali le reti subirebbero perdite medie dell’ordine di 150.000 euro per ora (solitamente perché le serie italiane attirano piú audience). Per colmare i deficit, le reti si trattengono tutti i diritti, rendendo quindi il produttore un semplice impiegato a tempo determinato. Questo elemento é fonte di disaccordo poiché, non potendo cosà accumulare un catalogo, i produttori non possono ottenere prestiti bancari con garanzie collaterali e quindi dipendono interamente dalle reti. L’alternativa - il modello finanziario americano - sarebbe quello di fornire alle reti una fiction al 60% del costo di produzione, conservando i diritti internazionali, quelli ancillari (Dvd, Vod, a bordo, banda larga, ecc.) e quelli di syndication nazionale (dopo alcuni anni possono essere venduti a gruppi di Tv locali).
Con queste ultime vendite il produttore finanzierebbe il deficit e creerebbe una “library” (che diventerebbe un “asset”). In questo caso, peró, il produttore dovrebbe non solo esporsi ai rischi del mercato ma anche sviluppare una forza vendita. Cose che pochi hanno interesse o voglia di fare. Tornando alle serie importate, nel 2011 l’Italia é stato il primo mercato Tv europeo per l’importazione di fiction americane. Questi dati sono forniti da uno studio dal titolo “Imported Drama Series in Europe”, nato dalla collaborazione di tre societá inglesi: Essential Television Statistics, Madigan Cluff e Digital Tv Research.
Secondo questo studio, nel 2011 gli americani hanno fornito all’Italia 1.190 ore o il 63% della fiction di prima serata. Al secondo posto, ma ben distaccata, figura la Germania con 588 ore. In totale, nel 2011 l’Italia ha importato 10.668 ore di fiction ed é stato calcolato che le entrate pubblicitarie generate dalla fiction importata sono state di 873 milioni di euro, un aumento di 31 milioni rispetto all’anno precedente. In rapporto ai costi d’acquisto per la fiction, stimati a 550 milioni di euro l’anno, le reti Tv italiane hanno quindi ricavato profitti di 323 milioni.
I costi totali delle serie importate sono dati riservati che sia gli studio che le reti non rilasciano mai e se forniti, lo sono in modo distorto. Ad esempio, “100 Autori” ha calcolato che i costi per le importazioni di fiction ammonterebbero a 400 milioni di euro, ottenendo - con un listino prezzi medi giá scontato a 52.000 euro per ora - solamente 7.700 ore e non le 10.668, come indicato sia dalla ricerca inglese che dalla Fondazione Rosselli. Le stime per l’acquisto di 550 milioni sono state ricavate consultando informalmente alcuni dirigenti di studio americani e facendo verifiche incrociate.
Per quanto riguarda le reti, durante il 2011, RaiUno ha ridotto il numero di fiction importate, mentre RaiDue e RaiTre le hanno aumentate. In totale, la Rai ha importato 3.014 ore. Tutte le reti Mediaset (Canale 5, Italia 1 e Rete 4) hanno diminuito le ore complessive di fiction importate da 6.602 ore nel 2010 a 5.912 nel 2011. Anche La 7 ha ridotto il numero di fiction importate da 1.917 ore a 1.742.
http://www.millecanali.it/01NET/HP/0,1254,57_ART_9964,00.html
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