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Oggi mi sento come lui.
“Avrei bisogno anche io di un “decreto interpretativo” che mi chiarisse, finalmente, perché ho sempre pagato le tasse. Perché passo con il verde e mi fermo con il rosso. Perché pago di tasca mia viaggi, case, automobili, alberghi. Perché non ho un corista vaticano di fiducia che mi fornisca il listino aggiornato delle mignotte o dei mignotti. Perché se un tribunale mi convoca (ai giornalisti capita) non ho legittimi impedimenti da opporre. Perché pago un garage per metterci la macchina invece di lasciarla sul marciapiede in divieto di sosta come la metà dei miei vicini di casa. Perché considero ovvio rilasciare fattura se nei negozi devo insistere per avere la ricevuta fiscale. Perché devo spiegare a chi mi chiede sbalordito “ma le serve la ricevuta?” che non è che serva a me, serve alla legge. Perché non ho mai dovuto condonare un fico secco. Perché non ho mai avuto capitali all´estero. Perché non ho un sottobanco, non ho sottofondi, non ho sottintesi, e se mi intercettano il peggio che possono dire è che sparo cazzate al telefono.
Io - insieme a qualche altro milione di italiani - sono l´incarnazione di un´anomalia. Rappresento l´inspiegabile. Dunque avrei bisogno di un decreto interpretativo ad personam che chiarisse perché sono così imbecille da credere ancora nelle leggi e nello Stato.
Se qualcuno mai leggerà questo mio diario in questi giorni, mi piacerebbe potesse acquistare (ove mai non lo conoscesse già ) uno dei dischi più importanti della storia della musica contemporanea e, per me, nei primi dieci posti della lista definitiva. Si, lo ammetto, amo le liste alla Nick Hornby…e poi sono malato in questo weekend e me ne sto al caldo a leggere, vedere film, scrivere, ascoltar musica. Di questo solo dovrebbe poter vivere l’essere umano.
Ah, il disco è “Velvet Underground & Nico”, quello con la banana in copertina, prodotto da Andy Warhol nel 1966. A quei tempi i Velvet Underground erano solo una band della scena musicale newyorkese ed i suoi componenti Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen ‘Moe’ Tucker passavano di locale in locale senza alcuna possibilità di emersione, affrontando temi nichilisti quali morte, droga, sesso, solitudine della metropoli. Fu il regista Paul Morrisey a segnalarli a Warhol che pensò bene di affiancare ai quattro musicisti una cantante tedesca, poi prematuramente e assurdamente scomparsa: Nico.
Quando l’ho ascoltato la prima volta, a casa di amici a Palermo ne sono rimasto assolutamente stregato e ho desiderato averlo, ascoltarlo, possederlo. In questo weekend lo sto ripossedendo. Mi piace condividerlo.
Brian Eno ha detto di questo lavoro “ Soltanto cento persone acquistarono il primo disco dei Velvet Underground, ma ciascuno di quei cento oggi o è un critico musicale o è un musicista rock “
Meraviglie del rock.
Ho provato solo un’altra volta lo stesso flusso potente ed il desiderio di possedere un disco. E’ stato molti anni dopo, stavolta in una indimenticata casa di amici fuori sede a Firenze, era “Ok Computer” dei Radiohead. Era il 1997. Una vita fa, pare.
Ho studiato diritto. Ma non faccio il costituzionalista.
Ho studiato storia. Ma non faccio lo storico.
Nella vita, come tutti, faccio innanzitutto il cittadino e nella polis mi creo le mie idee.
Ho studiato abbastanza, però, per capire che oggi, sabato 6 marzo 2010, oggi è davvero troppo. Comunque la si pensi, per qualunque “parte” si voti.
Da domani, se un bandito scipperà una vecchina, potrà chiedere un decreto interpretativo che dimostri che non di scippo trattavasi, bensì di mero prestito?
Abbiamo la peggiore classe dirigente d’Europa. Questo so. E mi vergogno assai quando vado fuori e i miei colleghi europei si danno di gomito quando dico di essere lì per l’Italia.
Spero solo si vergognino un po’ anche coloro che si sono inventarti quella schifezza di decreto. Ma anche di questo non ho alcuna certezza.
La mia generazione dovrà farsi carico di tutto questo schifo. Un giorno.
Ferzan Ozpetek ha fatto, con “Mine vaganti”, uno dei suoi film migliori. Liberatorio, ha detto, perché rinuncia ad alcuni luoghi del suo cinema per reinventarne tutti i topoi in singolare e affascinante simbiosi con il territorio, l’ambientazione del film: una Lecce abbacinante.
Le chiavi di interpretazione del film sono tante e, avendolo già visto, ho un vantaggio competitivo che non voglio usare (!), lasciando agli spettatori del buon cinema il gusto della scoperta. I testi si accompagnano ai sotto testi e questo rende “Mine vaganti” un film popolare nel senso più alto. Capace cioè di parlare a più pubblici e di sedimentare una nuova coscienza civile, quella cui questo paese ha rinunciato da quasi vent’anni ormai. Oppure non ha mai avuto? Magari ne riparliamo quando uscirà “Noi credevamo” di Mario Martone, monumentale film sul risorgimento italiano ed europeo. Altro esempio di cosa significhi fare una (buona) film commission.
Meno male che ci sono tante mine vaganti, anticorpi inoculati nelle pieghe della reazione per raccontare che c’è sempre un’altra strada, che alle spalle del diritto c’è sempre il suo rovescio e che, insieme al basso che molti amano frequentare - per fortuna - c’è anche l’alto.
Buona visione e ben venuti in Puglia, mine vaganti d’Italia.
Post scriptum
Ho esordito nella mia conoscenza con Ozpetek con una gaffe molto divertente che lui mi rinfaccia sistematicamente.
Una gaffe ricolma di affetto. Lui lo sa.
Quello che ancora non sa è che secondo me il suo film davvero riassume tutto il senso del nostro lavoro sulla location: quei luoghi - come abbiamo scritto nella copertina della guida Effetto Puglia - che per un pugliese significano, semplicemente, la vita.
Ho pianto ed ho riso, come capita molto di rado al cinema, alla visione di una disamina acuta del mondo al tempo del post 11.09.2001.
E’ il film indiano “My name is Khan”. Un gioiello che se fossi buyer comprerei al volo per il mercato italiano.
Se mai uscirà da noi, non va perso, perché attraverso lo sguardo incantato di uno splendido forrest gump indiano la storia d’America e dell’intero mondo viene riletta in chiave innovativa, abbattendo le barriere tra le persone, le civiltà , le etnie, gli uomini e le donne. E’ bello piangere al cinema.
Alla Berlinale il festival s’è aperto con la proiezione di “Giardini di luce” di Davide e Lucia Pepe prodotto dalla AFC ed all’arrivo, questa mattina, ho sentito intorno a me, rappresentante della Puglia del cinema, un grande calore all’arrivo all’EFM, il mercato europeo del cinema che vede affollarsi affannati centinaia di compratori e venditori di film, insieme a produttori, film commissioner, rappresentanti dei paesi di mezzo mondo. E’ un buon inizio, che proseguirà stasera con la proiezione di Mine vaganti di Ferzan Ozpetek e l’arrivo in città di Michele Riondino, shooting star del 2010, tarantino vero, pugliese di grande talento. E’ un momento speciale per il nostro lavoro, sono i secondi frutti di una faticosissima semina ed una - credo - sapiente potatura, ed essere qui è una soddisfazione speciale, che dice della strada giusta che abbiamo intrapreso. Il mio cellulare, presente sul catalogo del festival, squilla numeri con prefissi diversi dal +39: mi cercano produttori per capire cos’è questa regione che arriva su Variety, su The Hollywood Reporter, su Cineuropa come su Box Office e Cinema&Video International, sorprendentemente distribuito nei luoghi del festival, non ultimo il mio piccolo hotel. Berlino è innevata e il cuore mi scoppia, sapendo di essere lontano da casa nel momento del bisogno dei miei cari, ma la missione da compiere è grande e non si può mai tirare la gamba quando si è in mezzo al campo per una partita così importante. Fare al meglio il proprio mestiere, dentro la visione alta del progetto di una vita che meriti di essere vissuta per tutti, di una terra orgogliosa che si chiama Puglia.
Sono stato al BS Camp, il 6 febbraio, per la presentazione insieme ai colleghi dello spettacolo dal vivo, delle strategie per la cultura della Regione. Sono rimasto davvero folgorato dalla presenza di miei coetanei (più o meno…) e dalla imponenza dell’allestimento.
Quasi duecento proposte di brevetti, idee progettuali, idee business di prodotto o servizio e poi i colori, gli umori, la gioia di sentirsi principio attivo e parte dell’universo di Bollenti spiriti (www.http://bollentispiriti.regione.puglia.it/), sedimento di buone politiche, semina di futuro.
Quel che dopo ieri so, è che se sei un creativo oggi la Puglia è il miglior posto dove vivere.
Le eccellenze di Puglia sono infinite.
Scopro che a Casamassima, presso il noto Baricentro, esistono dei teatri di posa televisivi utili anche per il cinema, dotati di tutte le strumentazioni di base per le riprese e la regia (www.spaziodelta.org).
La Puglia è una eccellenza e ci vorrebbe una vita intera per scoprirla tutta quanta…
Non so spendere molte parole. La sensazione che ho è che Bari, la Puglia sono in Europa.
Alcune cose non hanno funzionato e le miglioreremo: la fiction, l’attenzione dei media nazionali.
Ma tutto quel che andava fatto in modo professionale, noi l’abbiam fatto.
Non conosco la signora Falsea, giornalista de La Repubblica, ma la sua piccola inchiesta dice tutto quel che occorre per farci trovare le conferme necessarie e indicare la strada del futuro.
Di Giulia Falsea
“Bari città di cinema. Il giorno dopo la conclusione dei lavori del Bif&st, quello che rimane è una città che ha vinto la sua sfida. Alberghi stracolmi, ristoratori entusiasti e la speranza che questa primavera culturale in inverno diventi un´abitudine. Gli hotel del centro, Boston e Palace, assicurano che il 50-60 per cento dei loro ospiti erano qui per il festival. Molti stranieri, e moltissimi cinefili che hanno vissuto otto giorni e mezzo alla mercé della settima arte.
In un periodo in cui solitamente la Puglia non è meta turistica abituale, la città brulicava di turisti curiosi che si muovevano da una sala all´altra assistendo a conferenze e apprezzando il cinema d´autore. Chi il cinema lo fa, invece, ha ripagato l´ospitalità , tutta meridionale, apprezzando la cucina pugliese e ammirando una città che, forse, pensava peggiore. Pochi capricci da vip, raccontano gli albergatori. Zeudi Araya ha chiesto una stanza più grande, per far posto ai suoi abiti. Qualcuno della giuria non ha fatto un passo senza il suo meraviglioso gatto, un principesco randagio. Si vocifera che ieri Fanny Ardant, ancora provata dal malore della sera prima sul palco del Petruzzelli, abbia ricevuto un mazzo di fiori in hotel e che si sia particolarmente commossa.
Divi umani, troppo umani, si potrebbe dire, in questo festival di Bari. In un improvvisato premio nel premio, il podio è presto detto. Albergatori e ristoratori non hanno dubbi: Luigi Lo Cascio è il più umile, il più ‘normale´: “Persona cordiale e di grande cultura”, dicono. Il più affascinante “è Giuseppe Tornatore”. Gli occhi più belli del festival sono “quelli enormi e cerulei di Margherita Bui”. Ma, nemo profeta in patria, Riccardo Scamarcio, arrivato ieri sera con la sua dolce metà , l´attrice Valeria Golino, raccoglie pareri dissonanti: “È sicuramente il più bello ma non ha un carattere facile”.
Sebbene molti ospiti, famosi e non, fossero stranieri, la cucina pugliese è stata la più richiesta. “Tutti hanno voluto assaggiare i nostri piatti tipici e il nostro olio” commenta entusiasta il proprietario del ristorante “Giampaolo” nel centro di Bari: “È stata un´esperienza fantastica. Eventi così dovrebbero esserci ogni mese”.
La macchina organizzativa ha funzionato alla perfezione: puntuali le automobili del festival per trasportare i vip, nessuna lamentela, nessun disguido. Al di là di attori e registi, il festival ha creato fermento anche tra la gente comune. La taverna del Maltese, locale nei pressi della stazione di Bari, ha organizzato serate musicali a tema Bif&st proponendo, come sottofondo, una scelta di colonne sonore dei film in concorso.
I giovani pugliesi sono diventati, anch´essi, prepotentemente protagonisti di questo festival. Hanno visto film girati quando ancora non erano nati, amandoli per la prima volta. Un festival partecipato e vissuto. E se è rimasto ancora un premio, la vera vincitrice è proprio questa neonata città del cinema.”
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